sabato, Novembre 23, 2024
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SE I DIRITTI SONO L’OMBRELLO PER “LA PIOGGIA”

Lo spettacolo teatrale di Leo Gullotta Fabio Grossi mette in scena la connessione tra scelte pubbliche e vita privata in un’Italia ancora indietro dal punto di vista dei diritti civili.

Si è conclusa presso il Teatro Parioli di Roma, la pièce dal titolo In Ogni Vita La Pioggia Deve Cadere, interpretato da Leo Gullotta e dal suo partner (di scena e di vita) Fabio Grossi. Si tratta, citando la sinossi, di “uno spettacolo che racconta la storia di una vita, la vita di due persone che vivono assieme e che si amano”. Lo spettacolo era in scena da circa due mesi, con un ottimo riscontro di pubblico, non solo in termini di numeri, ma anche e soprattutto di partecipazione emotiva alla performance.

In scena vediamo due uomini, legati da una relazione che dura da più di 40 anni, che si amano, che si vivono quotidianamente e che soprattutto si “bastano”. Si potrebbe dire che sul palco c’è una “famiglia arcobaleno”, ma non sarebbe una giusta etichetta, perché la storia parla di una coppia. “Papi e Piercarlo – ha raccontato il regista, Fabio Grossi, – sono due uomini che svolgono la propria esistenza con tranquillità e serenità fino a che un giorno arriva “la pioggia”; e questa vita ideale viene stravolta. Quando ci sono problemi non siamo mai preparati ad affrontarli, ma lo si deve fare. La commedia parla di amore, di umanità, di verità, di condivisione“.

“Condivisione” soprattutto, è quello che vediamo sul palcoscenico: Papi (Leo Gullotta) e Piercarlo (Fabio Grossi) sono due uomini che hanno condiviso quarant’anni, di felicità e di lacrime, di divertimento e responsabilità, di evasione e di fedeltà, che si sono voluti e anche traditi, ma che si sono sempre perdonati e che soprattutto si sono sempre amati e si amano ancora.

La trama (un atto unico) si sviluppa tutta all’interno di un appartamento, ad eccezione della scena d’apertura, che si svolge in un cinema d’essai: Papi e Piercarlo lasciano la sala dopo poche battute, che ci danno una idea della complicità, ma allo stesso tempo della diversità dei due protagonisti. Li seguiamo poi a casa loro, la casa-rifugio in cui i due vivono protetti dalle difficoltà del mondo che resta fuori. La scenografia di Alessandro Chiti conduce il pubblico in un elegante e luminoso salone. Qui ci troviamo a sbirciare quello che è l’estratto di quotidianità e l’intimità di una coppia gay che, come tutte le coppie che stanno insieme sin da giovani, è talmente unita da poter parlare di tutto, dal cibo, all’arte, ai tradimenti e alle amicizie.

Tra Papi e Piercarlo non ci sono rancori e persino il “non detto” non rappresenta un problema per due persone che sanno capirsi anche attraverso gli sguardi e i silenzi e che conoscono e si conoscono nei rispettivi pregi e difetti. Due persone che vivono di un linguaggio tutto loro, un’intesa che quasi non ha più bisogno dell’orpello delle parole.

Almeno fino a quando la realtà non costringe Papi e Piercarlo a parlare. Seppur non legalmente sposati, i due si trovano a fare i conti contro un inaspettato quanto fatidico “finché morte non ci separi”. Ed è a questo punto che la pièce diventa universale e si fa portavoce della situazione di molte coppie. Papi e Piercarlo non sono semplicemente “marito e marito”, non sono soltanto due amanti che convivono, ma sono ben più di questo: due persone che si sono scelte e che hanno continuato a scegliersi.

Il loro legame, il loro essere coppia, non è però purtroppo riconosciuto dalla società, non è per così dire “burocratizzato”. Va da sé che persino il dolore di un lutto imminente debba necessariamente essere messo da parte e la separazione debba essere “tradotta” su carta e firmata, ancor prima che avvenga nella realtà e prima ancora che i protagonisti abbiano il tempo di rendersene, razionalmente, conto.

Papi e Piercarlo raccontano (e si raccontano) il finire degli anni Novanta, un’epoca che ancora non riconosceva le unioni civili per coppie dello stesso sesso. Ora la riflessione da fare è piuttosto sociale che personale, perché non è certo necessario un timbro su un documento per sancire la stabilità o l’amore di una coppia. Diventa, tuttavia, fondamentale se della coppia si vogliono preservare i diritti, perché anche un omosessuale possa avere il permesso (già solo definirlo così fa capire l’entità del problema) di accompagnare la persona che ama durante l’ultimo viaggio, essere al suo fianco fino all’ultimo istante. Un diritto che va anche oltre la vita, perché anche le coppie gay possano avere il diritto di preservare l’eredità del proprio compagno/a, una eredità spirituale prima che materiale.

Perché una cosa è lottare contro il pregiudizio, un’altra è lottare contro gli ostacoli imposti dalla legge. Ecco allora che non si parla più di scelte etiche, ma di scelte in qualche modo “politiche”, di necessità di principi (e di leggi) che tutelino i diritti di tutte le coppie “diverse”. In tal senso, questo spettacolo si fa portavoce di una mirata critica a livello sociale, per contrastare i pregiudizi che purtroppo sembrano essere ancora ben radicati nell’opinione pubblica. E così come nella vita di Papi e Piercarlo, prima o poi la pioggia (metafora di una paura più grande) “deve cadere”, così nella realtà di noi tutti è necessario che cadano i muri dell’incomprensione, che celano il timore di tutto ciò che non vogliamo conoscere o riconoscere.

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