sabato, Febbraio 22, 2025
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Sdegno in Israele per il destino dei Bibas: “I due fratellini uccisi a mani nude”

AGI – Il destino dei Bibas agita Israele, sdegnato sia per la mancata restituzione del corpo della madre Shiri, scambiata nella bara con una donna palestinese dall’identità sconosciuta, sia per la morte crudele che sarebbe stata inflitta ai due figli. Kfir e Ariel, i due fratellini dai capelli rossi sequestrati quando avevano solo 10 mesi e 4 anni e riconsegnati ieri da Hamas in una bara, sono stati uccisi non con un colpo d’arma da fuoco ma a mani nude.

 

“Contrariamente alle bugie di Hamas, Ariel e Kfir non sono stati uccisi in un attacco aereo, sono stati assassinati a sangue freddo dai terroristi”, ha affermato il portavoce dell’Idf, Dianel Hagari, precisando che “i terroristi non hanno sparato ai due bambini, li hanno uccisi a mani nude. In seguito, hanno commesso atti orribili per coprire queste atrocita’”. Affermazioni, ha aggiunto, che si basano “sia sui risultati forensi, dal processo di identificazione, sia sull’intelligence che sostiene questi risultati”.

“Un atto barbaro che testimonia in modo innegabile la brutalita’” dei loro sequestratori, ha sottolineato il Forum dei familiari degli ostaggi, lanciando un appello ad “agire, la lotta per riportare tutti a casa non deve fermarsi per un momento”. Sui social si è fatta sentire Ofri Bibas, la zia di Ariel e Kfir: “Mi dispiace, non meritavate niente di tutto questo. Ci mancherete per sempre, e non rinunceremo a mamma Shiri”, ha assicurato, ribadendo che la famiglia “non chiede vendetta ora, chiede Shiri”, che deve essere restituita immediatamente, insieme a tutti gli altri ostaggi, vivi e morti.

 

I Bibas hanno puntato anche il dito contro Benjamin Netanyahu, accusandolo di aver “abbandonato” i loro cari il 7 ottobre e durante la prigionia. Il fratello di Ofri e padre dei bimbi, Yarden, portato via il 7 ottobre separatamente dalla famiglia, è stato liberato all’inizio del mese dopo 484 giorni di prigionia. A lui “sono rivolti i nostri cuori”, ha affermato Hagari, assicurando che verrà fatto “tutto il possibile per riportare a casa Shiri e tutti gli altri 69 ostaggi ancora tenuti in condizioni orribili e brutali da Hamas a Gaza”.

 

Dal premier Benjamin Netanyahu è arrivata la dura condanna per la mancata restituzione del corpo della giovane madre, una “violazione crudele” del cessate il fuoco. Israele agirà “con determinazione” per riportarla a casa, ha ammonito, denunciando “la crudeltà dei mostri di Hamas” che “paghera’” per questo. “L’intero mondo civile dovrebbe condannare questi orribili omicidi”, ha aggiunto Netanyahu, assicurando che non avrà “pace finché i selvaggi che hanno giustiziato i nostri ostaggi non saranno assicurati alla giustizia”.

Hamas ha respinto le accuse di violazione della tregua, sostenendo che lo scambio dei resti sia stato “un errore” avvenuto quando i corpi sono stati estratti dalle macerie dopo il bombardamento israeliano che ha ucciso i Bibas nel novembre 2023. Il gruppo militante palestinese ha chiesto la restituzione della salma della donna di Gaza consegnata ieri, assicurando al contempo che intende proseguire con l’attuazione dell’accordo per il cessate il fuoco nella Striscia e la liberazione di ostaggi. Domani verranno rilasciati altri sei rapiti, in cambio di 602 detenuti palestinesi, tra cui 60 che stanno scontando lunghe condanne e 50 ergastolani.

 

Hamas libererà Tal Shoham, Omer Shem-Tov, Eliya Cohen, Omer Wenkert, Avera Mengistu e Hisham al-Sayed. Gli ultimi due sono trattenuti nella Striscia da un decennio dopo esserci entrati in due circostanze diverse per errore, gli altri quattro sono stati presi in ostaggio il 7 ottobre 2023. Si tratta degli ultimi ostaggi vivi che verranno riconsegnati nella prima fase dell’accordo. Quanto alla fase successiva, i colloqui non sono ancora stati avviati e ieri il gruppo palestinese ha accusato Netanyahu di “tergiversare”, tra i timori dei familiari degli ostaggi ancora prigionieri che rischiano di restare nella Striscia se l’intesa crolla.

 

Intanto a Riad sono riuniti i leader dei sei paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, insieme a Egitto e Giordania, per discutere un piano alternativo per Gaza a quello proposto dal presidente Usa Donald Trump, che prevede lo sfollamento forzato dei palestinesi. L’incontro “fraterno non ufficiale”, come è stato definito dall’agenzia di stampa statale saudita, avviene in vista della riunione urgente della Lega araba fissata per il 4 marzo al Cairo. Proprio l’Egitto sta lavorando a un progetto per la ricostruzione della Striscia di cui ancora non ha fornito dettagli ma che secondo l’ex diplomatico egiziano Mohamed Hegazy si articolera’ “in tre fasi tecniche su un periodo tra i tre e i cinque anni”.

La prima fase, della durata di sei mesi, si concentrerà sul “recupero rapido” e sulla rimozione dei detriti, sarà seguita da una conferenza internazionale sulla ricostruzione, in particolare delle infrastrutture pubbliche, mentre nella fase finale ci sarà la pianificazione urbana, la ricostruzione degli edifici abitativi, la fornitura di servizi e l’istituzione di un “percorso politico per implementare la soluzione dei due Stati”. 

 

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