sabato, Dicembre 21, 2024
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VANNI PICCOLO: LETTERA A UN GIOVANE AMICO

Abbiamo intervistato per voi Vanni Piccolo, attivista lgbt italiano che insieme a Bruno Di Donato è stato fra i soci fondatori del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli a Roma, di cui è stato presidente negli anni ’80. 

La sua è da sempre una vita spesa a difendere i diritti dei gay, ed ora ha scelto un ulteriore medium per farlo, ovvero sia: il teatro. Diretto da Mariano Lamberti, Vanni sale sul palco e parla ad “un giovane amico”, scegliendo la forma epistolare. 

In questo soliloquio, si sofferma in maniera toccante sugli anni dell’AIDS, essendone stato un protagonista attivo ed impegnato, per chiudere poi in maniera più divertente con la nascita di Muccassassina nel 1990, iconica festa di genere, la cui attività è ancora in auge a Roma. Fino alla consegna di questo importante patrimonio umano e storico ad un giovane interlocutore a cui la lettera è indirizzata. Ogni sera il giovane sarà interpretato da uno degli spettatori presenti in sala.

«Io ho fatto il mio tempo e i giovani sono figli del loro tempo. Io non intendo giudicarli, ho “semplicemente” il compito di raccontare» spiega Vanni; ed ecco che oggi, con noi, ci racconta e si racconta.

Come nasce l’idea di “Lettera a un giovane amico”?

Il mio monologo “Lettera a un giovane amico” nasce nel 2018 in occasione dei 35 anni del circolo di cultura omosessuale “Mario Mieli” di Roma, di cui sono co- fondatore e ex presidente dal 1984 al 1980. Per l’occasione, dal presidente del Circolo mi è stato suggerito di rivolger e un saluto ai giovani, raccontando la storia del Circolo; ed io l’ho fatto sotto forma di lettera, lettera che ho letto nella serata di Gala al Quirinetta, accolta dal pubblico con standing ovation. L’ho ripresentata lo scorso anno alla Croisette nella settimana Pride ed è stato accolto ancora da emozioni e applausi. Alla fine ho avuto l’idea di ampliare il testo facendone uno spettacolo per far conoscere ai giovani le condizioni delle persone omosessuali prima del movimento. Il testo finale segue sempre lo stile del racconto, ma la presentazione non è più una lettura recitata, bensì uno spettacolo arricchito da musiche, immagini e recitazione teatrale. 

Il punto centrale, sia del primo testo che di quello attuale, è la narrazione degli anni 80, gli anni drammatici dell’AIDS, la paura lo smarrimento il panico, per far conoscere l’impegno del Circolo Mario Mieli e di tutte le associazioni per combattere questa terribile malattia.

Arte e politica non sempre vanno a braccetto. Come coniugarli?

Anche la politica può essere un’arte, dipende da come la di interpreta. Personalmente, considero l’arte una forma espressiva assolutamente indipendente e libera.

Ma sappiamo tutti che nel tempo l’arte, in tutte le sue espressioni, dalla musica al teatro, dal cinema alla satira, ha sempre avuto uno stretto rapporto con la politica,  rapporto che è stato ed è o di critica o di servilismo. 

E sappiamo quanto sia costato ad artisti liberi lavorare sotto regimi antichi e moderni. Penso che un artista servile offra molto poco, anzi nulla. E penso che una politica che condiziona l’arte ha paura della cultura e non può essere una politica rivolta al benessere dei cittadini, ma piuttosto protesa all’affermazione del proprio potere.

Un artista vero, a mio parere, racconta sempre quello che sente.

Cosa pensi che, ad oggi, manchi nella visione della cultura LGBT?

Io penso che ogni generazione è figlia del suo tempo e che abbia il diritto di decidere cosa fare della propria vita, privata e pubblica.

D’altronde, se noi che abbiamo vissuto gli albori del movimento non avessimo osato rompere gli schemi non ci sarebbe stato nessun cambiamento. Capisco che le persone anziane pensino sempre che le loro azioni di gioventù erano senz’altro migliori; ma è grazie alle giovani generazioni che si generano i cambiamenti; ed è impensabile che una persona anziana possa voler imporre ai giovani il proprio punto di vista.

Il mio monologo è un racconto, la mia storia personale nella storia collettiva; ma non intendo minimamente presentarlo come un confronto con le nuove generazioni. Come pure non accetterei il contrario. Io racconto la storia, non un’opinione. Come spero facciano i giovani di oggi. Attraverso le radici delle varie generazioni l’albero del Movimento diventa più forte e più ricco.

Cosa diresti oggi e che messaggio daresti ad un giovane ragazzo/a gay?

Cosa gli direi? Io non direi niente, soprattutto se non richiesto, ad un giovane ragazzo gay. Ho fatto l’insegnante e sono stato sempre convinto che, a parte la grammatica con le sue regole, non avevo il diritto di proporre e tanto meno di imporre altro. Ma mi sono sempre impegnato a fornire agli studenti strumenti di crescita e di pensiero autonomi. Aggiungo scherzosamente che oggi mi sarebbe difficile insegnare la grammatica, le cui regole privilegiano prepotentemente il maschile.

In “Lettera a un giovane amico” Vanni ci parla della sua adolescenza, gli anni della solitudine (anni ‘50), della sua giovinezza e della sua vita (anni ‘60), della sua partecipazione politica e degli esordi del Movimento Omosessuale (anni ‘70) e della sua militanza nello stesso (anni ‘80), offrendoci così un’ampia visione storica di quello che è stato il cammino omosessuale in Italia, fatto di lotte e conquiste, di passi in avanti e passi indietro.

Nel raccontare tutto questo, si rivolge ad “un giovane amico” e così parla a tutti i giovani amici e amiche, passando il testimone a tutti noi.

Ringraziamo dunque Vanni Piccolo per la sua importante testimonianza, a teatro e qui. E gli auguriamo che la sua testimonianza possa davvero essere ascoltata e compresa, soprattutto dalle nuove generazioni. Perché la sua storia è anche la nostra storia, di tutte e tutti noi.

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