domenica, Novembre 24, 2024
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GIORGIA MAZZUCATO: LA PAROLA AL SERVIZIO DEI DIRITTI

L’impegno a favore dell’uguaglianza dei diritti come prima chiave di lettura per entrare nel mondo di Giorgia Mazzucato

Giorgia Mazzucato è un’attrice, autrice e regista nata a Padova nel 1990. Sin da piccolissima iniziò il suo viaggio all’interno dell’universo teatrale, muovendo i primi passi in questo mondo e avendo la possibilità di lavorare a fianco di importanti professionisti del settore. Attualmente scrive, dirige ed interpreta i suoi spettacoli, grazie ai quali ha ottenuto già diversi premi e numerosi riconoscimenti, tra i quali quello di Miglior Artista Internazionale, conferitole al San Diego Fringe Festival californiano (USA), unica ospite italiana invitata. L’impegno di Giorgia, oltre che essere artistico, coinvolge anche il sociale; in particolar modo è molto vicina alla comunità LGBTQ+.

Giorgia, ti descrivi e/o ti descrivono, oltre che artista poliedrica, anche “lottatrice civile” e “transfemminista”. In che modo queste parole ti identificano e in che modo ti descriveresti tu?

Mi sento ben rappresentata da queste parole. Sono ovviamente transfemminista perché se il femminismo non è trans includente allora è solo un’altra escrescenza discriminatoria di quel patriarcato che proprio le terf, a parole, dicono di voler combattere. E nella mia descrizione essenziale, aggiungerei anche che sono ovviamente antifascista. Una parola il cui valore, nel mezzo di questa nuova ondata di fascismo e afascismo, è più importante che mai.

(Foto di Antonio Nicolini)

Matrimonio egualitario per coppie dello stesso genere, diritto all’adozione, ma anche paure, violenze e luoghi comuni da superare… sono tutt’oggi temi “caldi” e che a te stanno molto a cuore. Puoi dirci perché e come li affronti in quanto artista?

Mi stanno a cuore perché è inconcepibile, grave e imbarazzante che nel 2023 esista ancora la discussione sul fatto che sia giusto o meno che tutte le persone abbiano gli stessi diritti. E ancor più assurdo è che dai piani alti della politica e da parte della pancia della popolazione la risposta sia: “No. Non tutte le persone devono avere gli stessi diritti”. Sono una cittadina indignata e una donna bisessuale ferita. Nei miei spettacoli provo a portare questo senso di urgenza civile, con onestà e fiducia nel potere delle storie. La potenza dell’ascolto del pubblico, la forza della condivisione mi aiutano a prendermi cura della consapevolezza che quanto c’è di bigotto e retrogrado in questo paese sia solo una scoria del passato e che il futuro e il progresso siano dalla nostra parte.

Komorebi – uno spettacolo queer, ma anche un libro. Che cosa ci racconta/ci racconti?

Lo spettacolo, da cui poi è nato un libro edito da Peoplepub, parla di come sia essere una persona queer in Italia.  Parlo di me e di quello che conosco, delle discriminazioni che ho affrontato, della percezione del mondo che mi e ci circonda, tentando di farlo con lucidità e ferma leggerezza. Nonostante le tematiche di spettacolo e libro non siano leggere, cerco di trattarle con sarcasmo, coinvolgendo il pubblico senza attaccarlo, ma facendolo sentire parte integrante di un problema che non è solo della comunità LGBT+, ma di chiunque, in quanto parte di una società non in salute.

Raccontare storie, creare memoria collettiva. Quali sono i tuoi obiettivi e come li affronti?

Professionalmente parlando, il mio obiettivo è quello di costruire storie che contino per il sociale, portando racconti che spostino dei punti di vista polverosi ed aprano a nuove domande. Per fare questo cerco di mantenermi costantemente informata e non farmi abbattere dalla frustrazione delle notizie quotidiane e dall’odio che sui social galoppa incontrastato. È sempre più evidente che abbiamo un problema sistemico di memoria e il teatro, come l’arte in generale, è uno strumento magico per combattere questa amnesia storica e sociale. Quello che credo è che una storia alla volta, si possa cambiare il mondo.

Con il suo lavoro e il suo impegno Giorgia è per tutti noi un esempio, che ci ricorda come in materia di discriminazione non si possa rimanere neutrali, ma sia necessario, oggi più che mai, prendere posizione.

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