AGI – Una nuova ricerca condotta dagli scienziati del La Jolla Institute for Immunology (LJI), Stati Uniti, sembra attestare il ruolo dell’anticorpo umano mAb 3A6 come mezzo per contrastare il virus Ebola, anche in un contesto pandemico. Questo anticorpo, come illustrato in uno studio su Nature Communications, è stato isolato da campioni di sangue di un sopravvissuto all’Ebola curato presso l’Emory University Hospital durante l’epidemia di virus Ebola del 2014-2016, iniziata nell’Africa occidentale e che ha ucciso più di 11.300 persone.
L’anticorpo mAb 3A6 sembra contribuire a bloccare l’infezione legandosi a una parte della struttura virale dell’Ebola, il gambo, una parte molto importante in quanto àncora la struttura glicoproteica dell’Ebola (che guida l’ingresso in una cellula ospite) alla membrana virale dell’Ebola. Ricerche condotte in collaborazione con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) del NIH sembrano inoltre dimostrare che una terapia con mAb 3A6 possa essere efficace nei primati non umani nelle fasi avanzate della malattia da virus Ebola.
“Questo anticorpo offre la migliore protezione nei primati, alla dose più bassa mai osservata per qualsiasi singolo anticorpo”, dichiara la professoressa Erica Ollmann Saphire, presidente e CEO dell’LJI, fra gli autori della ricerca. “Quanto più è bassa la quantità di anticorpo da somministrare, tanto più facile sarà potere sviluppare una trattamento e tanto più basso sarà il costo per il suo sviluppo”, aggiunge Kathryn Hastie, del LJI e direttrice del Center for Antibody Discovery dell’LJI.
Per scoprire come mAb 3A6 si lega al virus Ebola, interrompendo così il processo di infezione, i ricercatori hanno utilizzato due tecniche di imaging, la tomografia crioelettronica e la cristallografia a raggi X.
Tali strumenti hanno messo in luce che mAb 3A6 si lega a un sito normalmente nascosto da un paesaggio mutevole di proteine virali, caratterizzate da un movimento dinamico che si alterna in varie direzioni, in basso e in alto, in avanti e indietro. L’anticorpo mAb 3A6 sembra sfruttare questa ‘danza proteica’ per insinuarsi tra le stesse proteine, sollevarle e infine agganciarle.
La capacità di mAb 3A6 di legarsi a questo bersaglio è importante per diversi motivi, spiegano i ricercatori: in primo luogo per il fatto che il sito è conservato in diverse specie di virus Ebola, rendendo quindi gli anticorpi che agiscono su queste regioni una componente interessante per una potenziale terapia ‘pan-Ebolavirus’.
In secondo luogo, l’informazione di come mAb 3A6 solleva le proteine nel gambo virale evidenzia un possibile punto debole del virus Ebola. Informazioni che potranno essere eventualmente impiegate per progettare vaccini efficaci e attivi specificatamente contro questa regione del virus Ebola.