sabato, Dicembre 21, 2024
spot_imgspot_imgspot_imgspot_img

DA DIETRO LE SBARRE… PER AMORE DELL’ARTE

Un’intervista esclusiva con un personaggio controverso, ma senza dubbio affascinante. Vincenzo Pipino ci porta a conoscere una realtà nascosta e spesso addirittura negata, ma che è una delle più palesi ingiustizie presenti nel nostro paese: la situazione nelle carceri italiane.

Vincenzo Pipino è notissimo nella città di Venezia. Ladro d’importanti opere d’arte storiche, ma anche gentiluomo, performer e scrittore. I suoi libri Rubare Ai Ricchi Non è Peccato e Memorie Di Un Ladro Filosofo − Quando Il Furto Diventa Un’arte editi dalla casa editrice Le Milieu, sono stati apprezzati dalla critica internazionale a tal punto d’attrarre diverse case di produzione cinematografiche che si contendono la sua straordinaria storia di vita. La sua celebre fuga dal carcere di massima sicurezza in Svizzera del 1973 lo ha reso una figura leggendaria, tant’è che lo stesso carcere espone in un museo privato gli attrezzi che utilizzò per la sua riuscita evasione che lo portò alla libertà.

Quando sei diventato un ladro di opere d’arte?

“Molto presto, quando frequentavo la biblioteca la Marciana di Venezia, laddove, oltre che studiare e organizzare i miei furti, ammiravo con straordinaria curiosità libri di pittori molto famosi, in particolare il settecento veneziano. La mia filosofia, definita da me, come una larvata excusatio non petita. Pensavo che la pittura di grandi artisti, appartenesse alla cultura del mondo e che non potesse essere obliata e nascosta nelle pareti di casate della nobiltà veneziana che, a mio parere, le detenevano per una questione venale. Ma ripeto, era solo una mia filosofia sballata”.

Alcuni tuoi furti sono entrati nella storia dell’immaginario comune, così anche la tua fuga strabiliante dal carcere di massima sicurezza in Svizzera. Ci puoi raccontare la tua impresa?

“Il furto che ha fatto storia nell’immaginario di Venezia è stato quello della Madonna con il Bambino del Vivarini, nella sala dei Censori del Palazzo Ducale di Venezia, sono stato il primo ladro a violare quel sito sacro veneziano, in realtà fu una particolare necessità. Ero stato contattato da un sodale di Felice Maniero, noto bandito della famigerata Banda del Brenta, il quale mi avrebbe chiesto di interessarmi ad una rapina al museo del settecento veneziano di CA’ Rezzonico. Gli serviva il presunto bottino per uno scambio per liberare un suo cugino detenuto. Naturalmente rifiutai l’offerta. Figuratevi cosa sarebbe successo con una rapina al museo del settecento veneziano! Mi sono offerto invece di fare un “regalo”, che avrebbe avuto una notevole eco a Venezia e che avrebbe senza meno avuto lo stesso risultato. Non fu facile rubare quel dipinto, era quasi impossibile entrare nel Palazzo Ducale di notte, quindi studiai un stratagemma, entrando dalle carceri. Invadere un carcere è quasi impossibile, ma evadere da un carcere è più facile, così sono entrato a Palazzo Ducale come un turista, durante il giro del museo, mentre una guida illustrava ai turisti la storia delle prigioni, rimasi indietro, giusto il tempo per nascondermi in una cella buia; e fu così che presi il dipinto: sono “evaso” con il dipinto ben serbato tra le mani. Per quanto riguarda la fuga del carcere di massima sicurezza in Svizzera, fu una vera astuzia, organizzata tra stratagemmi incredibili, perché era noto alla custodia del carcere che mi stavo preparando per la grande fuga. Consiglierei di leggere il mio libro Rubare Ai Ricchi Non è Peccato e leggere solamente il capitolo di quella rocambolesca fuga”.

Qual è la tua opinione sulle carceri italiane?

“Questo è un argomento purtroppo tragico che la società rigetta per disinformazione e per le composite e impunite violazioni, non solo di diritto costituzionale, ma anche morale e quasi torturanti. Purtroppo le ‘voci’ al di fuori le mura non riportano informazioni esatte e, per assurdo, sviliscono pure il quotidiano. Che il problema delle carceri italiane sia cronico e che stia assumendo dimensioni sempre più preoccupanti, anche per la vita dei reclusi, è noto. Dal 2000 ad oggi ben 1277 suicidi e ben 3.431 morti nelle carceri in totale indifferenza istituzionale. Ne è l’esempio più impietoso che la maggior parte di morti siano sulla soglia di 40anni, con istituti penitenziari sempre più sovraffollati all’inverosimile e con condizioni detentive sempre meno degne di un Paese civile, lo sanno anche le pietre!”

Come si può affrontare il sovraffollamento nelle prigioni?

“Nelle Carceri del nostro ‘Bel Paese’ il 37% sono stranieri. Questo è già di per sé un grossissimo problema, per ovvie ragioni, diversa cultura, diverso cibo, diversa religione, diversa mentalità ecc. Esiste una Convenzione Europea di Strasburgo di cui l’Italia ha aderito con circa una quarantina di Paesi nel mondo, un principale strumento per attuare il trasferimento delle persone condannate è la Convenzione del Consiglio d’Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983 alla quale, ripeto, hanno aderito numerosi paesi, ma che deve essere integrata per quanto in essa non è specificata dalla normativa codicistica e, in particolare, dagli artt. 742 e ss. c.p.p. In realtà questa Convenzione esiste sulla carta europea, ma quasi mai messa in opera. Io stesso avrò fatto un migliaio di istanze, per il trasferimento dei stranieri nei loro Paesi di provenienza. Ecco le risposte da parte della magistratura preposta a questa Convenzione: Si rigetta la richiesta, in quanto in quel Paese concedono ogni tre anni un indulto! oppure Si rigetta in quanto il richiedente non ha i soldi per l’acquisto del biglietto aereo. O ancora: Si rigetta per mancanza di passaporto. E poi altre ‘larvate excusatio non petita’. Pare che le carceri italiane siano in realtà una vigorosa fabbrica al servizio dello Stato. Dalle statistiche emerge che da gennaio 2023 ad agosto 2023 si contano 608 suicidi e 541 casi di tentati suicidi, in aumento vertiginoso rispetto ai dati raccolti nello stesso periodo dell’anno scorso quando i suicidi, sempre ovviamente, considerando solo le notizie di cronaca, uscite sui giornali, erano stati 351 suicidi e i tentati suicidi 391. Siamo a quota 18 dall’inizio del 2024. Sono diciotto i detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri italiane quest’anno, una vera e propria emergenza nazionale. Andando oltre e moltiplicando il costo di tutti i detenuti presenti nelle carceri italiane per i giorni dell’anno, ci troviamo davanti ad una cifra esorbitante: di circa tre miliardi di euro. È questo il costo annuale dei detenuti in Italia fino ad oggi. In realtà nel nostro Paese carcerario, avvengono più morti che in un paese che vige ancora la pena di morte.

Come si può migliorare la detenzione e la vita dei carcerati?

“Attualmente con un governo di estrema destra, che si presenta come una vera lebbra per le carceri e che non ha più nulla da dibattere, si sono persi i valori morali, fioriscono quelli dell’interesse economico. Se poi possediamo la nostra tradizione culturale così legata all’idea del castigo, alla quale si contrappone la corrente che sostiene il perdono, si finisce nel caotico, avvilente, nevrotizzante sistema penitenziario non più sopportabile sotto il profilo giuridico ed economico. Non esiste azione senza perdono, così come non esiste condanna senza una parvenza di recupero sociale. Il fenomeno dei suicidi dei detenuti è aumentato, c’è la possibilità che lo Stato intervenga con l’Indulto o con un’amnistia considerando che è da vent’anni che non si attua in Italia? Un indulto oggi accompagnato con una amnistia, si trasformerebbe in una vera panacea, soprattutto per lo Stato e per la società, per lo Stato sotto il profilo economico, e per la società che paga in soldoni spese di giustizia pazzesche e inutili. Ci sono in detenzione circa 20 mila detenuti con condanne irrisorie che vanno da un anno a sei mesi di reclusione. I tribunali si decongestionerebbero di processi inutili, i tribunali di sorveglianza idem, si snellirebbe la prassi giuridica e si eviterebbe ai ‘cari securitari’ le tanto criticate prescrizioni. Tuttavia, se pur necessitasse un indulto e una amnistia, io ho sempre combattuto le ingiustizie, le violenze i soprusi che subisce nel quotidiano la popolazione detenuta, con interventi giuridici ad hoc. Nella Casa Penale di Rebbibia, tramite l’ARCI di cui sono pure stato presidente, ho aperto uno studio giuridico. Mi occupavo di pene concorrenti che provenivano da vari istituti di pena. Ebbene, in 7 mesi ho fatto togliere più di 70 anni di carcere senza colpo ferire, per errori giuridici e conteggi errati. A tale proposito è venuto a trovarmi in carcere un ministro della giustizia, non ricordo se era Amato, il quale dopo aver preso visione di tutte le istanze da me inoltrate alla magistratura competente ha detto: ‘Caspita, ci vorrebbe uno studio giuridico al ministero!’. Da qui ho preso gli epiteti di sindacalista delle carceri e dell’avvocato dei detenuti. Tornando alla possibilità che questo governo emani un atto di clemenza, è e rimarrà una speranza morta per i detenuti. Mi sono letto tutti gli atti di clemenza, compreso i lavori parlamentari emanati dal 1948 ad oggi mai − dico mai − l’estrema destra a votato sì. Oggi si preferisce l’uso della clava, altro che clemenza. Il costo totale della giustizia italiana è di quasi 8 miliardi di euro, pari a circa l’1,3% della spesa pubblica. In valore assoluto è la terza spesa più alta tra gli Stati della comunità europea. Inoltre lo Stato ha sborsato quasi un miliardo di euro, 932.937.000 per l’esattezza per rimborsare persone detenute ingiustamente. Nel solo 2022 per 539 di persone che sono state incarcerate innocenti, è stata spesa una cifra di 27 milioni 378 mila euro per indennizzi liquidati. Di magistrati e giudici decidenti e inquirenti non parlo altrimenti mi danno l’ergastolo”.

Qual è la tua “filosofia di ladro”?

Non a caso ho scritto un libro che si intitola Storia Di Un Ladro Filosofo. Nella mia batteria formata da quattro lazzaroni ingegnosi nell’arte sovrana del furto mi sono imposto un’etica morale che prevedeva: rubare ai ricchi-ricchi, coloro che magari hanno rubato prima di noi; non usare nessuna violenza ai derubati; dare a costoro la possibilità di proteggere i loro beni; non usare armi di nessun genere, nemmeno sfiorare con una mano un derubato, altrimenti il furto o tentato si trasformava in rapina impropria. Scegliere le persone: non rubare ai medici, avvocati, giudici e poliziotti; e soprattutto non rubare ai poveri. Queste categorie sono utili alla società. I poveri vanno aiutati. Mi vanto in questo mio scritto per la prima volta di aver ricevuto una specie di diploma, non scolastico. “A te Vincenzo Pipino, che con la tua generosità hai contribuito a ridare un futuro ai tanti bambini che soffrono a causa della malnutrizione GRAZIE! UNICEF” (Francesco Samengo presidente UNICEF).

Foto di Federica Palmarin

VIRGO FUND

PRIMO PIANO