Una storia di amore tra donne nella difficile vita degli operai di un paesino del Galles del Nord. “Chuck Chuck, Baby”, l’opera d’esordio della regista Janis Plugh, fa centro con la sua voglia di normalità.
Helen è uno di quei personaggi femminili del cinema che dal futuro non vuole più soldi o felicità nell’amore, ma una vita completamente diversa. Sin dalle prime scene diventa subito chiaro che si sente prigioniera, ma non di un recinto fisico, ma di imbarazzanti rapporti di classe, decisioni sbagliate e la paura delle cose nuove. La regista britannica Janis Pugh punta al realismo sociale, ma dà fin dall’inizio un tono diverso rispetto al classico cinema “alla Ken Loach”, preferendo le atmosfere più leggere del musical rispetto a quelle della melodramma di denuncia.
Nella scena iniziale, la telecamera segue il volo di un fiore dente di leone al ritmo sognante e struggente di Love Song di Lesley Duncan. Sullo sfondo si vede un tipico insediamento operaio britannico con i mattoni rossi sporchi, i bambini che giocano e gli stretti ingressi delle case. Il dente di leone trova finalmente la sua strada nella stanza di Helen, sdraiata sul letto, che, con le cuffie sulle orecchie, si immerge nel mondo malinconico del cantautore inglese, cantando “L’amore è la chiave che dobbiamo girare”.
La Pugh, nata nel Galles del Nord, pone subito la protagonista al centro del suo film d’esordio (girato nella sua terra natale). Helen conduce una vita difficile. Durante i turni di notte imballa il pollame e durante il giorno si prende cura della suocera Gwen, malata terminale. Le due hanno una relazione d’amore tra loro, nonostante Helen sia ancora sposata con il figlio di Gwen, Gary, che però ha avuto un figlio da sua ragazza più giovane, Amy. Tutti e cinque condividono lo spazio abitativo limitato della piccola casa di Gwen, in una scomoda vicinanza.
Un matrimonio difficile
Il film rivela con disinvoltura e gradualmente perché Helen sopporta questa situazione apparentemente insostenibile, vivendo fianco a fianco con il marito che la tradisce davanti ai suoi occhi. Si scopre che Helen ha più cose in comune con Gwen oltre alla semplice relazione affettiva. Cresciuta in un orfanotrofio gestito da suore, Helen alla fine si è ritrovata alla porta di casa di Gwen da adolescente senza casa e Gwen l’ha accolta, diventando per lei ciò che non ha mai avuto: una figura materna.
Più tardi Helen spiega ad un’amica come è avvenuto il matrimonio con il rude Gary: “Ero molto giovane”. Il fatto che questa non sia tutta la verità si può concludere dalla descrizione di Helen della sua infelicità per la gravidanza: dopo quattro aborti, ha dovuto rinunciare per sempre al desiderio di avere figli. Non è difficile vedere nel comportamento difensivo-aggressivo di Gary nei confronti di Helen il profondo dolore che gli aborti e il ritiro interiore di sua moglie alla fine hanno causato anche a lui.
Solidarietà e sentimenti nascosti
Il film svela tutti questi intrecci senza alcun colpo di scena drammatico. Ciò che la Pugh stabilisce fin dall’inizio sono i tratti caratteriali che rendono speciale Helen – e che l’attrice Louise Brealey sa come far emergere con un grande mix di calore e desolazione. Helen è una sognatrice che si sente troppo insignificante per realizzare i suoi sogni. Sotto il letto tiene una valigia in cui mette i suoi vestiti più belli, pronti per partire verso una vita lontana e migliore. Allo stesso tempo, la valigia rappresenta tutti i sentimenti che prova, ma che lei non riesce a vivere e crede di dover nascondere.
Prima che il tono del film scivoli troppo nel sentimentale, la regista introduce un altro elemento cruciale: i colleghi di Helen nel reparto di confezionamento del pollame. Una brigata tutta al femminile che segue quasi una sorta di numeri di danza in cui l’azzurro uniforme dei loro abiti da lavoro contrasta con gli ombrelli colorati e la dura realtà si trasforma in qualcos’altro, in una manifestazione utopica di comunità e gioia di vivere.
Un musical operaio
Tra un musical da jukebox e un dramma operaio, Janis Pugh realizza qualcosa di molto speciale con Chuck Chuck Baby. La selezione di brani nostalgici conferisce al film un’atmosfera agrodolce, a cui si unisce il fascino naturale della musica pop con la sua diffusa fiducia nel potere della musica. Questo preciso senso del dramma trova corrispondenza anche nel modo in viene affrontata la storia d’amore tra due donne e posta al centro del film. Senza solennità e cliché e con la compiacente tolleranza di personaggi secondari che lo hanno sempre saputo. Certo, nel film fanno capolino sentimenti di omofobia personale e socialmente radicati, Tuttavia, la Pugh lascia semplicemente che l’amore dei suoi protagonisti rimanga ad attraversare la scena senza richiedere spiegazioni speciali. “L’amore è la chiave che dobbiamo girare/La verità è la fiamma che dobbiamo ardere/La libertà la lezione che dobbiamo imparare”.