domenica, Dicembre 22, 2024
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Ascesa e declino dell’Akp, il partito di Erdogan

AGI – Le elezioni amministrative andate in scena domenica in Turchia saranno ricordate per il trionfo del partito repubblicano Chp sul partito conservatore Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan, che negli anni lo ha forgiato a propria immagine e somiglianza mantenendolo al potere per 22 anni. Con il 34% delle preferenze Akp perde lo scettro di primo partito del Paese, una sconfitta che da un lato conferma il buono stato della democrazia turca (affluenza al 78,3%), dall’altro apre scenari in vista delle presidenziali del 2028.

 

Un Erdogan apparso stanco ha lasciato intendere che non correrà, anche perché la costituzione attuale non glielo permetterebbe. Ora il problema si allarga alla successione all’interno del partito: le elezioni di ieri hanno rappresentato solo l’ultimo atto del ciclo dell’Akp, ormai da anni in discesa e sofferente per la centralità totale acquisita dallo stesso Erdogan.

Dal carcere al governo

L’ascesa del presidente turco inizia con la fondazione dell’Akp, partito conservatore di ispirazione islamica che nasce nell’agosto del 2001 e appena un anno dopo diviene primo partito del Paese raccogliendo il 34.3% delle preferenze. Erdogan, che era stato sindaco a Istanbul, è reduce da un anno di carcere per aver recitato una poesia a sfondo religioso durante un comizio e su di lui pende ancora l’interdizione a ricoprire cariche pubbliche. Il veto cade con la riforma della costituzione dello stesso anno e l’attuale presidente turco può entrare in parlamento nelle suppletive del 2003. La soglia del 10% sbarra l’ingresso a diverse forze minori e con il 34.3% l’Akp ottiene la maggioranza dei seggi in parlamento ed elegge nel marzo dello stesso anno Erdogan premier. 

 

Per l’Akp sarà il primo dei 22 anni al governo, Erdogan rimarrà premier per 9 anni consecutivi. Una ascesa confermata dalle amministrative del 2004; l’Akp si conferma primo partito con il 46% delle preferenze complessive. La nuova mappa della Turchia vede l’opposizione confinata sulla costa egea e mediterranea e in poche province del nord est, mentre le metropoli, il Mar Nero e l’Anatolia sono saldamente nelle mani di Erdogan, che inizia a crescere anche nel sud est a maggioranza curda, dove vincono partiti filo curdi. Uno scenario che per i seguenti 22 anni subirà poche variazioni, fino al voto di domenica. Un risultato che viene addirittura consolidato nelle elezioni parlamentari del 2007. L’Akp ottiene il 46.58% delle preferenze ed elegge 341 parlamentari (all’epoca il parlamento aveva 550 membri), scelti in 80 province su un totale di 81. È la prima volta nella storia del Paese.

La riforma costituzionale

Sono gli anni dell’Akp da solo al potere, la più ampia maggioranza ottenuta in parlamento, gli anni in cui Erdogan combatte perché il presidente della Repubblica non sia scelto dal parlamento, ma direttamente dai cittadini. L’allora premier Erdogan lancia un referendum costituzionale e lo stravince con quasi il 70% dei voti a favore. La maggioranza in parlamento gli permette di far eleggere Abdullah Gul, altro membro fondatore del partito da anni però fuori dal giro a causa di dissapori con lo stesso Erdogan. Con le elezioni amministrative del 2009 si vede che l’ascesa dell’Akp è finita. Il partito nonostante perda 4 punti rispetto a due anni prima rimane però primo partito e controlla le metropoli e centri nevralgici del Paese.

 

A bloccare la crisi e rilanciare il partito ci pensa però la riforma costituzionale del 2010, che consente ad Erdogan di dare un duro colpo ai militari, da sempre centrali nella vita el Paese. Sono gli anni in cui il dossier Unione Europea è più aperto che mai e alcune aperture incrementano la popolarità di Erdogan nel sud est a maggioranza curda.

Da premier a presidente

Il picco di preferenze per l’Akp arriva nel 2011, con il 49.8% cui però corrispondono 327 membri del parlamento. Più del 50%, meno dei 341 ottenuti 4 anni prima, ma è la terza volta che l’Akp va da solo al potere. Le amministrative del marzo 2014 confermano Akp primo partito con il 43,4% e il controllo del partito sulle metropoli rimane saldo. Tuttavia questo sarà un anno chiave: ad agosto per la prima volta infatti in Turchia il presidente della Repubblica viene eletto con il voto popolare. Dopo 9 anni Erdogan da premier diventa presidente e con il 51.8% delle preferenze a proprio favore chiude la contesa al primo turno. Tuttavia il declino del partito è in atto e viene confermato dalle parlamentarie del giugno 2015. Dopo 13 anni l’Akp con il 40% si conferma primo partito, ma perde la maggioranza in Parlamento, complice anche l’ingresso dei curdi di Hdp che superano la soglia del 10%. Il governo non si riesce a formare e si torna alle urne a novembre dello stesso anno.

 

I mesi tra le due elezioni saranno caratterizzati da attentati dell’Isis e dei curdi del Pkk. Il processo di pace in corso tra il governo e i separatisti salta dopo due anni e mezzo e le operazioni militari turche nel sud est del Paese vengono intensificate. Si calcola che 862 persone persero la vita nei 146 giorni trascorsi tra le due tornate elettorali. Una tensione che fa il gioco di Erdogan e danneggia i curdi di Hdp. L’Akp torna al 49.5% anche grazie all’alleanza con i nazionalisti dell’Mhp. Un’alleanza che serve ad Erdogan per ottenere una maggioranza qualificata che gli permetta di cambiare la costituzione, abolire la figura del premier e passare al presidenzialismo.

 

Dopo un agognato via libera del parlamento ad aprile 2017 si svolge il referendum popolare. Il sì vince con il 51.4% dei voti, una maggioranza risicata eppure fondamentale per allungare la vita politica di Erdogan. Il mandato già svolto, anche se non per intero, viene infatti azzerato e potrà correre per la presidenza altre due volte. A giugno dell’anno dopo si vota sia per il presidente che per il parlamento, che dopo il passaggio al presidenzialismo è ora composto di 600 membri.

Un uomo forte con un partito debole

Erdogan viene confermato con il 52,5% al primo turno, anche grazie a un’opposizione frammentata, in parlamento l’Akp ottiene il 42% delle preferenze, ma ancora una volta non la maggioranza dei seggi. Circostanza che costringe all’alleanza con i nazionalisti di Mhp. Passa appena un anno e si vota di nuovo, stavolta per le amministrative. Erdogan perde Istanbul e Ankara dopo 25 anni. La batosta è forte, dopo una serie di ricorsi il risultato di Istanbul viene annullato e a Istanbul si torna alle urne. Il candidato dell’opposizione Ekrem Imamoglu stupisce tutti e dopo averla spuntata per poche migliaia di voti dilaga nella ripetizione infliggendo 800 mila voti di distacco a Binali Yildirim, ultimo premier della Turchia e fedelissimo di Erdogan.

 

Il presidente turco promette vendetta e prepara con estrema attenzione le elezioni del 2023, quelle del centenario dalla fondazione. A sfidare Erdogan è Kemal Kilicdaroglu, un candidato che può contare sul sostegno di diversi partiti, inclusi i filo curdi, ma che manca di carisma e non scalda i cuori. Sarà proprio l’allora segretario dei repubblicani del Chp a sbarrare la strada alla candidatura di Imamoglu, da molti indicato come possibile sfidante di Erdogan. Si vota il 14 maggio, nessuno dei due ottiene la maggioranza e la sfida sembra essere all’ultimo voto. Nel ballottaggio di due settimane più tardi però Erdogan si impone con il 52% venendo eletto per la terza volta presidente. Tuttavia dal primo turno è emerso un Akp in picchiata, che rimane primo partito, ma ha ormai il 35.6% dei voti e l’alleanza con Mhp diviene vitale per poter formare il governo.

 

Una discesa confermata dai dati di domenica. A soli 10 mesi da quelle elezioni l’Akp è stato surclassato da Chp, perdendo lo scettro di primo partito dopo 22 anni. Se, come ha lasciato intendere nelle scorse settimane, Erdogan non si dovesse presentare alle prossime elezioni per l’Akp trovare un candidato sarebbe più che un dilemma. Al contrario per l’opposizione, che con la conferma di Imamoglu a Istanbul ieri ha già pronto l’uomo da lanciare nella Turchia del post Erdogan.

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