giovedì, Ottobre 24, 2024
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La salute di Biden e l’ombra di Trump pesano sul vertice Nato

AGI – I leader dei 32 Stati che compongono la Nato si riuniscono a Washington, dove nel 1949 furono firmati i trattati che diedero vita all’Alleanza, con l’obiettivo di ribadire il sostegno all’Ucraina e mostrare unità di fronte a Russia e Cina. Il vertice appare però condizionato da numerosi fattori che rischiano di oscurarne l’agenda, dalla lotta del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, per la sua sopravvivenza politica agli interrogativi su un possibile ritorno di Donald Trump nello studio ovale, dall’esito inconcludente delle elezioni in un membro già riottoso come la Francia alla destabilizzante ambiguità del premier ungherese Viktor Orban, reduce da due viaggi a Mosca e Pechino tra strette di mano e sorrisi con i due maggiori avversari del blocco occidentale.

BIDEN NON MOLLA

L’ottantunenne presidente americano intende utilizzare i tre giorni del vertice, che segnano il settantacinquesimo anniversario dell’alleanza per rassicurare gli alleati sulla determinazione dell’impegno statunitense a mantenere salda la guida dell’organizzazione e sulle sue capacità di restare al timone della maggiore potenza nucleare mondiale. Nel Partito Democratico, nonché nei media amici, continuano a crescere però le voci che gli chiedono un passo indietro, alla luce delle preoccupanti condizioni psicofisiche mostrate nel confronto televisivo con il rivale repubblicano Donald Trump. “I nostri alleati guardano alla leadership Usa”, ha detto l’inquilino della Casa Bianca in un’i’ntervista, “Chi altri credete possa arrivare e farlo? Ho allargato la Nato. Ho consolidato la Nato”. Quegli stessi alleati non smettono però di domandarsi se Biden sia abbastanza lucido e robusto da continuare a svolgere il suo delicatissimo ruolo. E iniziano a riflettere sulla prospettiva di una nuova presidenza Trump.

 

L’OMBRA DI TRUMP

Durante i suoi comizi elettorali, Trump ha più volte minacciato di mettere in discussione il principio della mutua difesa sul quale si regge la Nato, a causa dell’insufficiente contributo degli altri Stati membri. Nessuno prende alla lettera battute iperboliche a uso interno come quella secondo la quale il magnate inviterebbe la Russia ad attaccare le nazioni che non investono abbastanza nella loro sicurezza (va detto che oggi ne troverebbe 23 su 32 che rispettano il tetto minimo del 2% del Pil) ma quello di un possibile affievolimento dell’impegno Usa è un tema molto concreto. L’attesa decisione di delegare in capo al comando congiunto della Nato il coordinamento delle consegne di armi statunitensi sembra quindi una precauzione preventiva nel caso l’imprenditore riconquisti la Casa Bianca dopo il voto del prossimo novembre. Ancora non è chiaro cosa intenderebbe fare ‘The Donald’ per concludere la guerra tra Russia e Ucraina con la rapidità che ha annunciato. C’è però qualcuno a Budapest che potrebbe averne un’idea.

A CHE GIOCO GIOCA ORBAN?

Il recente viaggio del primo ministro magiaro a Mosca e a Pechino ha fatto rizzare parecchi capelli a Bruxelles, dove si sono affrettati a chiarire che Orban si è mosso a titolo personale e non come presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea. È probabile che la verità sia una terza, ovvero che il premier ungherese si sia mosso per conto di Trump, così da preparare il terreno a una sua rielezione. Sono numerose le ricostruzioni giornalistiche secondo le quali Orban avrebbe discusso con Putin le linee guida del piano del tycoon per concludere il conflitto con Kiev. Ed è possibile che sia stato questo l’argomento al centro dell’incontro tra l’ex presidente e Orban avvenuto lo scorso marzo nella tenuta di Mar-A-Lago.

 

PER KIEV PIÙ ARMI MA NIENTE ADESIONE

Al vertice di Vilnius, lo scorso anno Volodymyr Zelensky espresse tutta la sua ira per l’assenza di un percorso chiaro verso l’adesione di Kiev al vertice. Per evitare nuovi incidenti a un vertice nel quale Biden si gioca moltissimo, nei giorni scorsi si è svolto un intenso lavoro diplomatico per spiegare al presidente ucraino che, per quanto il cammino del suo Paese verso l’ingresso nel blocco sia “irreversibile”, al momento la guerra in corso con la Russia e il mancato rispetto di numerose condizioni non rendono possibile aprire la porta all’Ucraina. Si lavora quindi a una sorta di “soluzione ponte” e a maggiori concessioni sul campo degli armamenti che dovrebbero consentire a Zelensky di tornare a casa con dei risultati. Il presidente ucraino ha bisogno soprattutto di batterie antiaeree e una nuova fornitura di Patriot dovrebbe fare parte del nuovo pacchetto da 2,3 miliardi di dollari annunciato di recente dal Pentagono. Nel pacchetto in cinque punti comunicato dal segretario generale dell’alleanza, Jens Stoltenberg, è inoltre previsto che il sostegno complessivo del blocco all’Ucraina si mantenga all’attuale livello di 40 miliardi l’anno. Sono però proprio gli Stati Uniti a disdegnare un impegno vincolante su questo fronte, così come è Washington, insieme a Berlino, la cancelleria più scettica su un’adesione di Kiev, che esacerberebbe le tensioni con il Cremlino. 

 

L’INCOGNITA DELL’INDO-PACIFICO

Già al vertice di Madrid del 2022, a pochi mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, la Nato aveva identificato la Cina come il principale concorrente sistemico. E l’obiettivo di un cambio di paradigma che includa anche l’Indo-Pacifico, ovvero l’attuale priorità strategica degli Stati Uniti, è stato non solo dichiarato ma reso concreto dall’invito al summit dei quattro principali alleati regionali: Giappone, Sud Corea, Australia e Nuova Zelanda. Del resto Pechino e Pyongyang sono fondamentali nel sostegno allo sforzo bellico russo, la prima con le esportazioni di prodotti elettronici “dual use”, ovvero sulla carta a uso civile ma convertibili per scopo militare, la seconda con la consegna di armi. Per questo è fondamentale un coordinamento con le nazioni interessate in modo diretto dall’espansione del Dragone. Un simile allargamento di prospettiva non piace però alla Francia, che ha detto no all’apertura di un ufficio di rappresentanza della Nato a Tokyo. E non sono da escludere ulteriori strappi di un Emmanuel Macron che atterra negli Usa lasciandosi dietro un Paese senza una maggioranza chiara dopo le ultime elezioni. Va ricordato che Parigi mal sopporta il suo ruolo di secondo piano in un Pacifico che resta conteso da angloamericani e cinesi, come apparve evidente dalla polemica seguita alla cancellazione di una vendita di sottomarini francesi all’Australia in favore di forniture Usa che segno’, nel settembre 2021, la nascita del patto trilaterale Aukus tra Canberra, Londra e Washington. 

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