Negli scorsi giorni, il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha firmato la contestatissima legge approvata dalla Duma lo scorso 31 maggio, che sancisce un ulteriore giro di vite contro la comunità LGBT+, con il concreto rischio di internamenti psichiatrici e la reintroduzione di sistemi che ricordano le più buie epoche sovietiche
Tra tutti, quelli a rischio maggiore di persecuzione sono le persone transgender. Dallo scoppio della guerra in Ucraina, sono state praticamente considerate nemici interni. Un nuovo disegno di legge presentato il 31 maggio vieta loro il cambio di identità di genere o il trattamento ormonale.
Il paradosso è che fino a pochissimo tempo fa, la Russia era uno dei paesi più liberali in tal senso. Per una persona transgender era relativamente semplice andare in un un ospedale pubblico o di una clinica privata e, pochi mesi dopo, grazie a un documento medico e senza alcun obbligo di cura, ottenere il diritto di cambiare sesso sui propri documenti di identità.
“In pratica, le cose sono spesso erano più complicate, ma dal punto di vista del diritto, c’erano ben pochi problemi” – dichiara Vladimir Komov, avvocato che guida l’organizzazione Delo LGBT+ e che di certo non è uno che ha molti motivi per elogiare l’operato del governo russo. “In questo campo, la Russia era dei paesi più tolleranti del mondo. Per anni, le persone transgender sono state semplicemente invisibili per lo Stato, il che spiega perché non hanno subito pressioni e divieti particolari”.
Dai primi anni ’90 in poi, le istituzioni mediche e psichiatriche russe si sono evolute moltissimo sull’argomento, rompendo con la visione restrittiva che prevaleva durante l’era sovietica, senza incontrare particolari resistenze nella società. La prima legge in merito è stata varata nel 1997. Per ottenere la modifica dei propri documenti di identità – compreso l’atto di nascita – una persona adulta transgender doveva ottenere il parere favorevole di una commissione medica, presieduta da uno psichiatra, che gli emetteva una diagnosi di “transessualismo”. L’intero processo durava solo alcuni mesi, con consultazioni regolari.
Dal 2018 non era più richiesta neanche l’approvazione di un giudice. In linea teorica non erano richiesti nemmeno trattamenti ormonale che agissero sui caratteri sessuali secondari (come la pelosità o il seno) o sull’aspetto della persona.
“Tutto questo si è rapidamente sgretolato in pochi anni, se non mesi, sull’onda di un’incessante propaganda governativa che ha dipinto le persone transgender come prima come malati di mente o poi come nemici del popolo e della famiglia. Una deriva pericolosissima” – ribadisce Komov.
Il 31 maggio, quasi 400 deputati hanno presentato alla Duma (il parlamento russo) un disegno di legge che vieta la “riassegnazione del sesso” (termine rifiutato anche dalle persone transgender) e la sua approvazione e firma da parte della Presidenza è avvenuta a tempo di record.
La nuova legge vieta qualsiasi modifica dei documenti di identità, nonché qualsiasi “intervento medico”, ad eccezione dei casi di “anomalie congenite” nei bambini. “Negli ultimi mesi, il furore verbale contro le persone transgender è stata accompagnata dall’esaltazione legislativa” – sottolinea Komov – “Sono state presentate diverse bozze concorrenti del disegno di legge ed è stata scelta la più restrittiva”.