Jamie è un adolescente con un sogno: essere libero di esprimere se stesso anche attraverso abiti femminili.
Tratto da una storia vera (narrata nel documentario della BBC «Jamie: Drag Queen at 16»), il musical Everybody’s Talking About Jamie è in scena a Londra dal 2017 ed è giunto in Italia lo scorso anno grazie a Viola Produzioni di Alessandro Longobardi, in associazione con Nica Burns e in accordo con RGM Production, che ne ha presentata una versione rivista e del tutto nuova, per la regia di Piero Di Blasio, che abbiamo avuto occasione di intervistare personalmente.
Tutti Parlano Di Jamie è stata una operazione particolarmente riuscita. Come è nata l’idea?
Jamie è nato nella mia testa in una sera di Luglio del 2018, quando il mio amico Paolo Lanfredini (a cui è dedicato lo spettacolo) mi ha inviato un link con un video di uno spettacolo da guardare. Quello spettacolo era proprio Jamie nella versione inglese. Quella stessa sera ho cercato informazioni su chi detenesse i diritti e ho mandato due mail. Dopo 48 ore ero in contatto con il distributore dello spettacolo inglese, Garry McQueen, che mi invitava a vederlo dal vivo. Il 10 agosto 2018 ho visto lo spettacolo e il 14 agosto (dopo neanche un mese dall’aver visto quel video in camera mia sulla Prenestina) ero negli uffici della Nimax Theatre di Londra per parlare del progetto Jamie in Italia. La cosa folle fu che io non avevo una produzione alle spalle, ma finsi di avere il Teatro Brancaccio e Alessandro Longobardi alla parte finanziaria. La parte davvero assurda fu che in quei momenti io inventai totalmente il progetto da zero, bluffando su molte cose, ma poi − dopo 4 anni − misi in scena esattamente quello che avevo detto loro, come se avessi sempre saputo come avrei costruito Tutti Parlano Di Jamie.
La storia di Jamie è la storia di molti ragazzi di oggi. Come può l’arte, in tal senso, fare la differenza?
La storia di Jamie è universale non perché Jamie sia gay. Non è proprio questo il punto dello spettacolo. È universale perché parla di identità, di accettazione di qualsiasi cosa si pensa di essere e soprattutto del non dover chiedere il permesso di essere se stessi. I giovani sono molto più avanti di noi sulle varie nomenclature di genere. E lo spettacolo dà per scontata questa informazione. Per questo Jamie è “nuovo”, perché cambia la narrazione. È uno spettacolo vero, narrato da un vero ragazzo della stessa età de* ragazz* a cui si rivolge.
Perché, parafrasando il titolo, “tutti parlano di Jamie”?
Il pubblico parla di Jamie perché Jamie crea dipendenza. Ci sono veri e propri “Addicted to Jamie”. in 30 anni ricordo pochi spettacoli con un tale livello di “ricorrenza”. Ci sono persone che hanno visto lo spettacolo anche 11 volte! Jamie è diventato l’immagine di una rivoluzione gentile giovanile, un luogo sicuro dove sentirsi a casa. E poi c’è un cast di una forza e di una coesione senza precedenti. Tutt* loro sono diventat* punti di riferimento di una generazione che riferimenti non aveva più.
Piero, avendo tu curato la regia, cosa di te rivedi nel personaggio e/o nello spettacolo?
Io non credo di rivedermi nello spettacolo o in Jamie. I transfert non mi sono mai piaciuti, neanche tra genitori e figli. Però Jamie è mio figlio a tutti gli effetti. Sono una madre amorevole che ha curato ogni passo della sua crescita, dal gattonare al correre, ma sono stato anche un padre severo che ha preteso molte cose. Forse una cosa di me c’è nello spettacolo… la determinazione e la caparbietà, in fondo sono un ariete abruzzese. Conosci qualcuno di più testardo? Non credo.
Ringraziamo dunque Piero e la sua squadra per aver portato in scena la storia di questo ragazzo che non vuole sbandierare il suo orientamento sessuale, ma solamente essere libero di indossare abiti che lo rappresentino, ma che sono considerati femminili. Non è importante raccontare di Jamie semplicemente come un ragazzo gay, o come una Drag Queen; bisogna raccontare Jamie come qualcosa cui tutti dovremmo aspirare, ovvero la libertà di essere noi stessi.